Perché in certe zone si coltivano soprattutto cereali mentre in altre prevalgono alberi da frutta o vigneti


Sono “abitati” solo i primi 30-40 cm di suolo, ma si tratta di un ecosistema ricchissimo,
che, tra l’altro, fornisce la maggior parte del cibo che ci mantiene in vita.

Perché in certe zone si coltivano soprattutto cereali mentre in altre prevalgono alberi da frutta o vigneti? Perché le angurie e i meloni provengono dal Mantovano, e i pomodori dall’Emilia o dalla Puglia?
E perché il sapore di un frutto o la qualità di un vino cambiano anche a distanza di pochi chilometri?
Tutto dipende dalla terra. I fattori che entrano in gioco nel definire la “vocazione agricola” di un terreno sono molti: alcuni facilmente intuibili, come la propensione a restare umido senza divenire fangoso, altri meno.

Per esempio, non tutti sanno che anche il colore conta: in un terreno scuro i semi germinano prima perché, sotto il sole, la terra nera si scalda più di quella chiara.
Anche la
profondità del suolo è importante. Sui suoli profondi (anche se lo strato fertile è limitato ai primi 30-40 centimetri) la riserva idrica è, infatti, maggiore, e le piante con radici profonde si ancorano meglio.

Sui suoli sottili, invece, sono più indicate coltivazioni come i vigneti, che si appoggiano a sostegni: basta osservare quelli di zone montane come la Valtellina, dove lo strato di terra è così esiguo da far affiorare qua e là le rocce della base. In alternativa, questi terreni sono adatti a colture come il mais, leggero e flessibile.

TERRA FERTILE, VINO MEDIOCRE
Le quantità di carbonio e azoto organici, e in particolare il loro rapporto (C/N), influenzano invece le attività dei microrganismi capaci di trasformare la sostanza organica e fornire nutrimento alle piante.
Un altro fattore che influenza le coltivazioni è l’acidità del suolo:
mirtilli, abeti e rododendri crescono in montagna anche perché apprezzano i suoli con pH basso (e quindi acidi) mentre non potrebbero sopravvivere sulle coste, dove le alte concentrazioni di sale rendono il terreno alcalino (cioè con pH alto).

La maggior parte dei vegetali predilige comunque suoli neutri, con valori di pH attorno a 7.

In realtà, però, ogni terreno presenta vantaggi e svantaggi. Perfino un’altissima fertilità non è sempre apprezzabile: i terreni più produttivi, per esempio, non sono adatti per i vitigni di gran pregio: la gran parte dei vigneti DOC si trova infatti su terre di bassa capacità.
Come mai? Perché i terreni fertili, ricchi di azoto e sostanze organiche, producono molta uva, ma con troppa acqua, pochi zuccheri e una gran quantità di foglie. Risultato: vini di qualità media, dal basso grado alcolico e inadatti all’invecchiamento.
In realtà, i fattori che influiscono sulle caratteristiche del vino sono moltissimi. I suoli sabbiosi, per esempio, danno vini dal buon aroma, ma leggeri, di colore tenue e basso grado alcolico. Suoli calcarei come quelli dei colli toscani danno invece vini di corpo e ottima qualità.

Nelle Langhe, famose per il barolo, ci sono zone con terreni chiamati “TOV“, sabbie finissime e argilla, ricchi di calcare, che danno un barolo elegante e profumato. Altri versanti collinari con sabbie e argille diverse, di colore grigio-bruno, giallastre o rossastre, invece, danno baroli più robusti e più alcolici.

LA FATICA DELL’ARATURA
Chi possiede un orto lo sa per esperienza: un’altra caratteristica importante del suolo è la lavorabilità. Un terreno difficile da dissodare costa fatica e denaro: basti pensare ai suoli argillosi, chiamati anche ‘pesanti“, che per essere arati richiedono trattori potentissimi.
La lavorabilità è determinata dalla struttura del terreno (più o meno compatto). ma anche dal grado di umidità: se è eccessiva la terra si appesantisce, se è scarsa il terreno si indurisce. seccandosi.

BONIFICHE E ROTAZIONI
Se è vero che il tipo di suolo condiziona l’agricoltura, è innegabile anche il contrario.
L’agricoltura, per esempio, ha il pregio di aver strappato alle paludi moltissimi terreni che, sommersi dall’acqua, si sarebbero trasformati in torbiere o in inutili acquitrini. L’intervento umano sui suoli dovrebbe in teoria migliorarne la qualità.

In realtà, spesso l’agricoltura ha fatto danni, soprattutto in passato.
Provate a pensare a una condizione spontanea, naturale: il suolo è ricoperto di vegetazione che per crescere sottrae alla terra gli elementi nutritivi, ma poi li restituisce con le foglie cadute in autunno, con le piante che muoiono o con gli escrementi degli animali che se ne nutrono.

Nei campi coltivati, invece, la vegetazione viene raccolta. E per di più la concentrazione delle piante è spinta al massimo, per ottenere produzioni elevate. Ecco quindi che i terreni vanno concimati, per evitare che s’impoveriscano. Quindi il primo risultato negativo dell’agricoltura è l’impoverimento del suolo di sostanza organica e humus

Da questo punto di vista anche le arature profonde che si facevano fino a non molti anni fa erano controproducenti. I primi 20, 30 centimetri di suolo sono quelli in cui si concentra la massima attività batterica, i più ricchi di humus e quindi i più fertili.
Le lavorazioni profonde con il ribaltamento delle zolle causato dall’aratro finivano invece con il portare sotto lo strato fertile e lasciare in superficie terreno meno buono.

L’agricoltura intensiva ha anche un altro difetto: quello di spingere gli agricoltori verso le monocolture, cioè a ripetere sullo stesso terreno la stessa coltivazione anno dopo anno. Questo non porta solo all’impoverimento del terreno, ma anche a un aumento di parassiti.
Tipico è il caso dei
nematodi, animali vermiformi, grandi meno di un millimetro, portatori di virus e parassiti delle radici di molte piante coltivate.

IL CONCIME PIU’ NATURALE
Non sempre i microrganismi sono però dannosi. E per questo che nelle rotazioni delle colture viene spesso inserito un ciclo di leguminose (erba medica, trifoglio, soia...) nonostante la sua resa economica sia relativamente bassa.
Il fatto è che, attaccati alle radici di queste piante, vivono in simbiosi i
Rhizobium. microrganismi in grado di fissare l’azoto dell’aria e renderlo disponibile per le piante, arricchendo quindi il suolo di questo prezioso elemento e limitando il ricorso alla concimazione nelle colture successive.

Molto usata nella Pianura padana, per esempio, e la rotazione che vede dopo il frumento (specie che consuma molto azoto) due o tre anni d’erba medica e quindi un anno di mais.
Quest’ultimo, chiedendo diverse lavorazioni del terreno ed essendo dotato di radici profonde che vengono interrate nell’aratura post-raccolto, predispone il campo a riospitare nelle condizioni ottimali il frumento.

COME SI SCIOGLIE IL TERRENO
Nei suoli argillosi un altro rischio che corre l’agricoltura, è quello della compattazìone.
Il peso dei trattori e il passaggio dell’aratro sempre alla stessa profondità possono comprimere a tal punto la terra da renderla dura come una suola, privandola dell’aria. Meglio quindi evitare di entrare nei campi dopo la pioggia e variare le profondità dell’aratro di anno in anno.

Su questi terreni pesanti, inoltre, si possono fare interventi migliorativi. Per esempio con un cospicuo apporto di sostanza organica come il letame, o interrando apposite colture come il pisello o il favino (questo intervento si chiama “sovescio“), in modo che quando la sostanza organica diventerà humus il terreno sarà più leggero, o, come dicono gli addetti ai lavori, “sciolto”.

INQUINAMENTO? PIANTATE SENAPE
Anche quando la terra poggia su un piano inclinato, come capita nelle zone collinari e in quelle di montagna, l’intervento umano è determinante. Soprattutto se in assenza delle coltivazioni la terra restasse nuda, esposta all’erosione delle intemperie.
In questo caso le coperture vegetali delle coltivazioni, ma anche il mantenimento dei prati per il foraggio del bestiame, si rivelano utilissimi per conservare il suolo.

Se è vero che certe pratiche agricole intensive possono rivelarsi inquinanti a causa dei diserbanti e dei concimi impiegati, in altri casi ci sono colture che aiutano a ripulire il terreno.
Mais, senape e girasole, per esempio, sono considerati veri toccasana per eliminare i metalli pesanti accumulatisi in seguito a pratiche industriali o nei terreni di discarica. Li assorbono dalla terra attraverso le radici e li immagazzinano nei tessuti vegetali.
Ad Arcola, in provincia di La Spezia, un’area su cui giaceva una discarica abusiva di rifiuti tossici è stata bonificata proprio con questo sistema. Alla fine le piante sono state eliminate come rifiuti tossici, ma ora è possibile coltivarvi senza pericoli.


dal web – http://web.infinito.it/utenti/s/sercas/cdl/suolo.htm

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