Non esiste la molecola di olio di palma. Ovvero gli oli spiegati dall’inizio.

 

Dario Bressanini

SCIENZA IN CUCINA

di Dario Bressanini

Nel corso degli anni abbiamo dedicato tanti articoli qui sul blog agli zuccheri. Abbiamo parlato di saccarosio, diglucosio, di fruttosio, e di tutti quegli sciroppi che ora sono tanto di moda, come quelli d’acero o di agave, e persino del miele, spiegando come alla fine siano composti sempre dagli stessi zuccheri semplici, e quindi nessuno sia da santificare e siano invece tutti da ridurre nella dieta occidentale moderna.

Mi sono reso conto che anche sui grassi e gli oli alimentari la confusione è sovrana per cui ho deciso di iniziare una (lunga) serie di articoli che spieghi, poco alla volta, i fondamenti chimici, le proprietà, le applicazioni, le curiosità e le bufale dei grassi che consumiamo tutti i giorni.

L’occasione mi viene anche dal fatto che in questo periodo sto preparando le lezioni del corso di Chimica e Tecnologia degli Alimenti per i miei studenti di chimica. Ho pensato quindi, a mano a mano che preparo il materiale, di presentarne qui, nei prossimi mesi, una versione semplificata.

Iniziamo quindi con i fondamentali, sfruttando in parte delle slide che ho preparato in occasione di un convegno sull’olio di palma che si è tenuto al Salone del Gusto di Torino qualche giorno fa. Parleremo più avanti dell’olio di palma, non temete, così come dell’olio di cocco, dei vari oli che di volta in volta vengono presentati come un toccasana oppure un veleno. Parleremo delle margarine, dei grassi idrogenati e di quelli trans. Parleremo di omega tre e di omega sei, di girasoli che si credono olivi, di estrazione di oli vegetali, e di un sacco di altre cose. Ma partiamo dall’inizio.

Oli sostituibili

Lo diamo talmente per scontato che non ce ne accorgiamo neppure ormai: in molte ricette gli oli sono in larga parte, ma non sempre, sostituibili. Se dovete preparare una maionese potete usare dell’olio di semi di girasole oppure dell’olio d’oliva o magari dell’olio di semi di mais. Potete fare un soffritto con il burro oppure, anche se sarà un po’ diverso, con l’olio extravergine di oliva. In una torta potete sostituire il burro con la margarina o tentare col burro di cacao. Se vi soffermate un attimo a pensarci la cosa è piuttosto sorprendente, soprattutto se pensiamo che possiamo estrarre degli oli da semi e frutti molto diversi tra loro.

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Qui abbiamo delle arachidi, delle olive, un avocado, e delle noci macadamia, ma l’elenco dei vegetali da cui si estrae l’olio è lunghissimo. Se in una ricetta sono previste delle olive e non le avete, non potete certo sostituirle con delle arachidi o con un avocado. Se state preparando ilguacamole e non avete a disposizione un avocado, non potete utilizzare al suo posto del mais o della soia. In altre parole i frutti o i semi di provenienza degli oli non sono liberamente sostituibili in una ricetta, mentre lo sono, con qualche eccezione, i grassi che ne vengono estratti. Come mai? Questa è la domanda a cui cercherò di rispondere in questo primo articolo: come mai in larga misura gli oli sono sostituibili nelle ricette?

La molecola di olio di oliva

Il motivo è che non esiste, come magari a volte si pensa, la “molecola di olio di oliva”, così come non esiste la “molecola di burro”, o di olio di palma. Tutti gli oli e i grassi alimentari contengono, in percentuali diverse, sempre gli stessi acidi grassi, legati nei trigliceridi. Questo è il concetto fondamentale attorno a cui ruota questo primo articolo. Probabilmente questi nomi li avete già sentiti leggendo le vostre analisi del sangue o qualche opuscolo sui cosmetici o sui saponi.

Prima di continuare devo fare una precisazione: nel linguaggio parlato distinguiamo spesso i grassi dagli oli. Lo strutto è un grasso mentre l’olio di oliva, beh, è un olio. Dal punto di vista chimico però non c’è differenza: semplicemente chiamiamo oli quei grassi che sono liquidi a temperatura ambiente. Quale sia la temperatura ambiente però dipende da dove vivete: ai tropici fa molto più caldo che a Trento e un grasso liquido in Nigeria può essere semisolido da noi. Useremo quindi i termini “olio” e “grasso” indifferentemente.

Che cos’è un trigliceride

Un trigliceride è una molecola che viene prodotta da piante e animali, compreso l’uomo, allo scopo di immagazzinare i grassi.

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Nel disegno vedete un tipico trigliceride. Disegnata in rosso c’è la molecola della glicerina, o glicerolo come diciamo adesso noi chimici, a cui sono legati tre “bastoncini”: i cosiddetti acidi grassi. A seconda di quali acidi grassi attacchiamo alla glicerina abbiamo dei trigliceridi di forma diversa. Tutti i grassi alimentari sono composti in grande maggioranza da trigliceridi contenenti sempre una miscela di acidi grassi. Sempre gli stessi ma in percentuali diverse.

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Tenete presente che i trigliceridi non hanno alcun sapore e che quando state gustando, per esempio, un olio extravergine di oliva, state in realtà assaggiando il sapore delle varie sostanze disciolte. Visto che i trigliceridi non sanno di niente, il sapore di un olio dipende esclusivamente da quella piccola percentuale di altre sostanze che può essere presente, e che può essere lasciato, come nell’olio extravergine di oliva, oppure, come per esempio nell’olio di soia, eliminato nella fase di produzione perché non troppo gradevole. Parleremo più avanti di questa percentuale di sostanze, piccola in peso ma estremamente importante per il gusto e le proprietà nutrizionali. Oggi ci concentriamo sui trigliceridi che rappresentano la quasi totalità delle molecole presenti in un olio.

Esistono vari tipi di acidi grassi e alcuni nomi li avete sicuramente già sentiti, come “acido oleico” o “acido palmitico”. I chimici li classificano, a seconda della loro forma, in “saturi”, “monoinsaturi” e “poliinsaturi”. Ora non ci interessa la loro struttura chimica, sappiate che quelli saturi –ve ne sono vari– li potete immaginare come dei bastoncini diritti, di lunghezza diversa. Qui nel disegno vedete l’acido stearico.

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Abbiamo poi i monoinsaturi, come l’acido oleico contenuto in grande quantità nell’olio di oliva. Non è più un bastoncino dritto ma ha una piegatura. Anche di acidi monoinsaturi ve ne sono vari: la piegatura può essere in posti diversi, i due segmenti possono essere più o meno lunghi, ma sono tutti accomunati da una singola piegatura.

Poi ci sono i cosiddetti acidi poliinsaturi, come il linoleico e l’arachidonico che, via via, hanno più piegature e sono sempre meno dritti.

Questa caratteristica geometrica è alla base del fatto che se un grasso è liquido a temperatura ambiente allora ha una maggioranza di acidi grassi insaturi, (mono o poli). Quasi tutti i grassi vegetali, ma non tutti, hanno questa caratteristica, così come è raro, ma ci sono, trovare dei grassi di origine animale che hanno questa caratteristica. Come per esempio l’olio di pesce.

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La classificazione “vegetali=insaturi=liquidi” e “animali=saturi=solidi” è quindi una semplificazione non sempre valida.

Tutti gli oli contengono sempre una miscela di acidi grassi saturi, di acidi grassi monoinsaturi e di acidi grassi poliinsaturi. Sempre. Questa è l’etichetta di un olio di girasole: come vedete su 92 g di grassi ve ne sono 11 di acidi grassi saturi, i monoinsaturi sono 26 g e 55 g sono di grassi poliinsaturi.

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A volte, a seconda delle applicazioni, per discutere delle proprietà di un olio è sufficiente sapere quanti saturi/monoinsaturi/poliinsaturi sono presenti. Altre volte invece, come vedremo, è necessario andare più nel dettaglio.

Se i grassi alimentari hanno una prevalenza di acidi grassi saturi, allora sono solidi o semisolidi. Il che vuol dire che in gran parte i trigliceridi avranno attaccato dei bastoncini diritti che, come dei mattoncini del lego, si riescono a impilare più facilmente rispetto a quelli con una o più piegature. Questo è il motivo principale per cui i grassi saturi hanno un punto di fusione più alto: se non hanno piegature si impaccano molto meglio ed è più facile formare dei solidi. Grassi solidi sono per esempio il burro, il burro di cacao, l’olio di cocco e l’olio di palma (quello rosso nella foto).

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Questi ultimi due si chiamano oli anche se sono solidi o semisolidi, e credo che questo abbia influito non poco a generare confusione. Li avessero chiamati “burro di palma” e “burro di cocco”, così come c’è il “burro di karitè” e quello di cacao, forse ci sarebbe stata meno confusione.

Vediamo ora la composizione in acidi grassi saturi, monoinsaturi e poliinsaturi dei principali oli alimentari, tenendo presente che i valori numerici sono solo indicativi, dato che possono variare un po’ a seconda del luogo di produzione e da altri fattori. Fatto 100 il contenuto di grassi di un olio, la barra rossa rappresenta i grassi saturi, quella gialla i monoinsaturi –tipicamente l’acido oleico– mentre quella azzurra i poliinsaturi.

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Prima di tutto notate come tutti gli oli –anche l’olio di oliva, certo– contengano una certa quantità di grassi saturi. Ammesso e non concesso che abbia senso evitare totalmente i grassi saturi nella dieta, questo è impossibile perché sono presenti in ogni olio. In realtà anche loro sono utili al nostro corpo e il problema, come al solito, è di evitare gli eccessi.

Dove troviamo la barra rossa più lunga? Nell’olio di cocco, con il 92%, seguito dal burro, con il 66%, dal burro di cacao con il 62%, e dall’olio di palma, con il 52%.

Si capisce quindi come, almeno per alcune applicazioni tecnologiche e gastronomiche, questi oli siano in gran parte sostituibili l’uno con l’altro, e che quindi l’olio di palma, dato che se ne parla molto ultimamente, solitamente non è un sostituto dell’olio di oliva, che ha il 75% di grassi monoinsaturi, ma viene usato soprattutto dove servono dei grassi saturi.

Se vogliamo preparare della pasta frolla, e qui parlo da buongustaio e non da chimico, usiamo del burro per farla, un grasso saturo e solido, e non l’olio di oliva. Ve la mangiate voi la pasta frolla con l’olio di oliva. Certo, esistono persino i frollini all’olio di oliva, magari con farina integrale e zucchero di canna, ma sono un’altra cosa, un altro campionato, come si dice ;)

Insomma, non c’è molto da stupirsi se in molti frollini troviamo tra gli ingredienti l’olio di palma: il motivo è questo, la sua composizione prevalentemente satura –un po’ meno del burro–, e non dobbiamo neppure andare a vedere quali acidi grassi sono presenti perché basta la quantità di grassi saturi e il fatto che, per tutta una serie di motivi tecnologici, il grasso in questo caso deve essere solido (perché deve ricoprire i granuli di amido, non deve irrancidire velocemente, si deve fondere in bocca e altri motivi). Alla fine si usa l’olio di palma perché è un sostituto meno costoso del burro. Ora le aziende, dato il cattivo nome che ormai si è fatto l’olio di palma, stanno rapidamente sostituendolo con altri grassi, con più o meno difficoltà a seconda del prodotto.


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