Nessuno denigri l’olio di oliva italiano stupidamente ed impunemente


Sabato 24 Settembre 2016 – direttore LUIGI CARICATO

Nessuno denigri l’olio italiano

Il nostro extra vergine non è secondo a nessun altro olio di qualità. In troppi invece provano piacere a screditarlo, da Tom Mueller a Nicholas Blechman. Ora anche un altro americano, Larry Olmsted, si unisce in un suo libro al coro dei maldicenti. Troppe falsità

Elia Fiorillo

Nessuno denigri l’olio italianoGià ci aveva provato qualche anno fa il New York Times a screditare la nostra olivicoltura. Complice un giornalista, Tom Mueller, che pur aveva avuto grande credito nel nostro Paese. Il NY Times pubblica quattordici vignette di Nicholas Blechman, dal titolo: “Extra virgin suicide – The adulteration of italian olive oil”, fonte proprio un libro di Muller, presentato alla Camera dei deputati del nostro Paese.

Le vignette, molto efficaci e ben disegnate, mostrano un’Italia, diciamo cosiÌ, vocata a delinquere nel campo dell’olio d’oliva. In verità l’idea-immagine che ne esce fuori, più in generale, eÌ di un popolo di truffatori, gli italiani. “Il 69 per cento dell’olio proveniente dall’Italia – e destinato agli Stati Uniti – è tagliato e adulterato nel porto di Napoli. Enti preposti al controllo – come i Corpi Speciali dell’Arma dei Carabinieri – incapaci di fare quello per cui sono addestrati, ovvero contrastare le frodi. Istituzioni politiche conniventi che con la loro influenza impediscono che i truffatori siano indagati per legge”. Tutte falsità.

Mueller prende le distanze dal NY Times. Lui non c’entra. “Le immagini sono carenti di fatti”, afferma. E, ancora, racconta che la redazione del giornale americano lo ha contattato per chiedergli se c’era da fare una rettifica, a riprova che l’ispiratore era proprio lui. Poi, mette le mani avanti, sostenendo che se ci fosse stata negli Stati Uniti la Legge Mongiello, certe cose non sarebbero capitate. Insomma, l’Italia è a posto dal punto di vista dei controlli, è l’America che è carente. Proprio l’incontrario di quello che le vignette fanno capire.

Un altro scrittore americano, Larry Olmsted, che ha recentemente pubblicato un libro sul fenomeno del “food fake” (ovvero della contraffazione sul cibo), ha sostenuto che è sconsigliabile acquistare e consumare olio extra vergine di oliva italiano o spagnolo. Vanno preferiti, invece, gli oli cileni o australiani.

Olmsted spiega, nel tour promozionale del suo libro, che le frodi relative agli extravergini sono tre:

1) miscelare extra vergine con olio di soia o canola, indicando però che si tratta di extra vergine;

2) miscelare “hight quality olive oil con low quality olive oil”, ovvero miscelare extra vergine con olio vergine o lampante, etichettandolo però come extra vergine;

3) miscelare extra vergine con altro extra vergine proveniente però da precedenti campagne di raccolta, ovvero miscelare olio vecchio con olio nuovo.

Dichiarazioni del genere minano la credibilità del consumatore americano, in generale verso tutti gli oli extra vergini di oliva, e più in particolare verso il made in Italy. Dopo l’ondata generale di sdegno per le vignette del NY Times poco è stato fatto da parte nostra per convincere gli americani sulla bontà dei nostri extravergini.

Quest’altro attacco alla nostra credibilità non può farci rimanere inermi. C’è bisogno di una campagna promozionale che veda assieme produttori e confezionatori, artefice il ministro Martina. Una campagna che scardini certe interessate prese di posizione sugli extra vergini di qualità italiani.

Va ricordato che il nostro Paese, in quanto a controlli, non è secondo a nessuno: alcuni nostri produttori hanno previsto certificazioni volontarie, si sottopongono alla “Certificazione ISO 22005” “Sistema di rintracciabilità nelle filiere agroalimentari” e UNI 11020:02, relativa al “sistema di rintracciabilità nelle aziende agroalimentari” per commercializzare oli di grande qualità. Per non parlare poi della legislazione Italiana e dell’Ue, estremamente rigida su controlli e tracciabilità, che non ha paragoni al mondo, su nessun prodotto, anche in Usa.

Un dato deve far tutti riflettere: in termini assoluti: nel 1993/94 l’Italia esportava circa 125 mila tonnellate di oli d’oliva confezionati verso gli Usa. Nel 2014/15 ne ha esportati 122 mila tonnellate. 
Nello stesso periodo i consumi di olio degli americani sono triplicati.

Certo, campagne pubblicitarie ah hoc, ma bisogna anche sostenere e incentivare investimenti in nuovi oliveti, efficienti e competitivi, anche a conduzione cooperativa, nelle aree vocate con l’obiettivo di arrivare, entro 8-10 anni, a soddisfare un fabbisogno minimo di 200 mila tonnellate di extra vergine italiano di Alta Qualità.

Bisogna, inoltre, tutelare le due anime della filiera olivicola olearia italiana, quella produttiva e quella commerciale, affinché s’impegnino sempre più a realizzare prodotti con requisiti etici e qualitativi restrittivi. Eppoi, riconoscere e tutelare la dizione ”Alta Qualità”, proposta per differenziare l’olio extra vergine italiano rispondente ai requisiti qualitativi del disciplinare nazionale.

Non tutti i mali vengono per nuocere. Quest’ultima informazione “negativa” ci deve far riflettere e, soprattutto, far cambiare strada. Siamo nel villaggio globale, non ci possiamo, tra l’altro, permettere errori d’informazione, che poi si trasformano in immagine negativa per il Paese tutto. Speriamo che la lezione ci serva.


 

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